“Abbiamo nella testa un computer straordinariamente potente, non troppo veloce.”
Daniel Kahneman
Ultimamente ho parlato molto di bias cognitivi e vedo sempre più gente che ne parla qua in Italia.
E questo, a mio parere, è un bene.
È un argomento che reputo molto importante sia per la nostra crescita personale sia per quanto riguarda la nostra carriera professionale.
C’è un problema però….
Una delle cose che vedo è che c’è veramente tanta confusione su questo argomento.
E quindi in questo articolo vorrei fare un po’ di chiarezza sui bias.
Lo studio del comportamento umano sta alla base del marketing.
La maggior parte dei guru online che parla di strategie incredibili o tecniche segrete mai rivelate spesso non fa altro che spiegare cosa funziona senza dirti (e spesso senza nemmeno sapere) perché funziona.
E questo non ha alcun senso.
Non ha senso applicare la tecnica se non si è capito perché funziona. O meglio, ce l’ha, ma difficilmente saremo in grado di applicarla in situazioni non standard.
Quando riusciamo a capire le radici di un comportamento invece saremo non solo in grado di applicare strategie in situazioni non standard ma anche di creare nuove strategia.
È la differenza tra colorare un disegno già fatto da qualcun altro e creare il proprio disegno seguendo la propria indole.
È la profonda differenza tra emulatori e creatori.
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Cosa sono esattamente i Bias cognitivi?
Tutte le leve del marketing che studiamo e leggiamo continuamente in vari gruppi, corsi o libri funzionano per via di come è programmato il nostro cervello.
E il nostro cervello, per quanto sia uno degli organi più affascinati e complessi che la natura è riuscita a creare, non è perfetto.
Esattamente come un sistema operativo o un qualunque software ha dei bug, degli errori che per sua natura è portato a commettere.
Questi errori li abbiamo chiamati bias.
Quando ad esempio rimandiamo un problema a domani è perché spesso siamo convinti che in futuro sapremo risolvere meglio quel problema. Siamo sempre convinti che domani saremo persone più produttive, più diligenti e più sagge.
Ecco, questo è un esempio di bias cognitivo.
Tendiamo continuamente a sovrastimare quello che potremmo fare in futuro convinti che nel futuro saremo automaticamente persone migliori di quelle che siamo oggi.
Un altro esempio di bias consiste nel fatto che tendiamo a dare maggiore rilevanza alle sole informazioni in grado di confermare la nostra tesi iniziale.
Questo fenomeno è chiamato confirmation bias e sostanzialmente spiega perché fatichiamo così tanto a cambiare le nostre convinzioni (sopratutto nel mondo online).
Inconsciamente infatti vediamo solo le informazioni che confermano le cose in cui già crediamo.

Questi bias sono onnipresenti durante tutto il corso della nostra vita e influiscono profondamente nel modo in cui ognuno di noi assimila ed elabora le informazioni che riceve ogni giorno.
L’immagine della realtà che ci costruiamo è profondamente influenzata dall’effetto di questi bias.
Ecco perché i bias sono importanti
I bias sono sempre stati definiti come una forma di distorsione della realtà con cui sbagliamo a interpretare le informazioni in nostro possesso. E che sostanzialmente ci inducono a commettere errori di valutazione.
Sono errori che commettiamo all’interno dei nostri ragionamenti o nel mondo in cui ci formiamo un’opinione su qualcosa.
Ma siamo sicuri si tratti di errori?
Dal nostro punto di vista sì.
Ci piace pensare di essere creature razionali e quando vediamo che il nostro cervello trae conclusioni che non hanno una base logica concludiamo che abbia commesso degli errori.
Ed effettivamente i bias stanno anche alla base di fenomeni orribili come il Nazismo o altri movimenti estremisti.
Quindi direi che da un punto di vista sociale, non fanno forse così bene.
Da un punto di vista biologico però non è detto che il ruolo di questi bias sia poi così dannoso.
Come vedremo tra poco infatti possono essere visti come strumenti che permettono al nostro cervello di sopravvivere all’interno della complessità del mondo.
Noi viviamo in un mondo iper-complesso.
E per quanto il nostro cervello sia un elaboratore potentissimo non è in grado di elaborare tutte le informazioni a cui siamo sottoposti ogni singolo giorno della nostra vita.
Pensaci un attimo…
Ogni giorno dobbiamo pensare a un’infinità di cose diverse.
Come ci vestiamo, come miglioriamo la nostra relazione, come possiamo migliorare a lavoro e via dicendo.
Ma non solo…
La società in cui viviamo ci chiede di essere informati di politica e i politici ci chiedono la nostra opinione su argomenti come l’energia nucleare, il numero di parlamentari o il cambiamento del nuovo articolo della costituzione.
Però è importante avere un’opinione anche sul cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento di anidride carbonica nella nostra atmosfera.
E poi non vuoi avere un’opinione sul fatto che due uomini possano sposarsi oppure no?
Certo che sì e poi il problema dei gender, dell’immigrazione, della balena franca nordatlantica in via di estinzione….
Insomma ci siamo capiti.
E queste sono solo una piccola frazione delle informazioni che dovremmo elaborare.
La verità però è che la maggior parte di questi problemi sono complessi.
Molto complessi.
Potremmo studiare il cambiamento climatico ininterrottamente per 3 anni e probabilmente ancora ci sfuggirebbe qualcosa.
Eppure, più o meno tutti, abbiamo un opinione a riguardo. E spesso siamo anche piuttosto sicuri della validità della nostra opinione.
Ma andiamo con calma…
Fortunatamente per noi Buster Benson, autore del libro Why are we willing, ha creato una rappresentazione dei bias cognitivi dividendoli in 4 categorie.
Questa rappresentazione offre un modello di osservazione molto interessante che, a mio parere, aiuta a vedere i bias da una prospettiva diversa.

Secondo questa rappresentazione i bias svolgono un ruolo ben preciso per gli esseri umani.
Ci permettono infatti di rispondere a 4 problemi fondamentali in cui ognuno si scontra nel corso della propria vita.
Vediamoli uno per uno:
1) Ci sono troppe informazioni.
Ogni singolo giorno il nostro cervello è sottoposto a migliaia (se non miliardi) di stimoli e informazioni diverse e non può elaborarle tutte. Ha bisogno di adoperare alcune scorciatoie per poter sopravvivere davanti a questa mole di stimoli senza impazzire.
E quindi iniziano ad agire svariati bias come ad esempio il Cofirmation bias che ci porta inconsciamente a selezionare informazioni che confermino le nostre credenze.
Oppure il Bizarreness effect, secondo cui tendiamo a ricordare meglio e più vividamente le cose bizzarre e meno ordinarie. Tipo questa bellissima ads (scherzo):

Questi e molti altri bias vanno a sopperire al problema che nel mondo ci sono troppe informazioni.
Le informazioni però non sono l’unico problema…
2) Non c’è abbastanza significato.
Il mondo è un posto molto confuso e disordinato e per forza di cose finiamo per vederne solo un piccolo frammento.
Per sopravvivere però abbiamo bisogno di dargli un senso.
E quindi, una volta che ci arrivano le informazioni che abbiamo scremato, iniziamo a collegare i puntini, colmiamo le lacune presenti tra queste informazioni creando storie che diano significato al mondo che ci circonda.
Esempi di questi bias sono l’Halo effect per il quale la percezione di un tratto di un individuo è influenzata dalla percezione di uno o più altri tratti di quella persona.
È il motivo per cui spesso inconsciamente riteniamo che una persona di bell’aspetto sia anche più intelligente sebbene non ci sia nessuna correlazione tra le due cose.

Oppure il clustering illusion secondo cui tendiamo a vedere schemi o modelli dentro a quelli che sono effettivamente eventi casuali.
E quindi iniziamo a vedere teorie dietro le morti delle celebrità (il club 17) o a ritenere di vedere degli schemi dietro a oscillazioni finanziarie in realtà casuali.
La realtà che viviamo è in buona parte una storia che il nostro cervello ha creato per riuscire a dargli un senso.
Facci caso…
Quando ci comunicano un informazione ad esempio sui migranti in fuga dal loro paese, noi non sappiamo realmente tutta la storia che sta dietro a una vicenda del genere.
Abbiamo solo qualche informazione disconnessa che ci arriva da qualche giornale, televisione o politico.
Eppure, nonostante questo, iniziamo a crearci in testa la storia della vicenda.
Prendiamo le informazioni che ci sono arrivate e uniamo i puntini, colmiamo i buchi della storia cercando di dare significato alla vicenda.
Potresti non accorgertene (anche io tendo a non razionalizzare questa cosa) ma il nostro cervello ha più bisogno di creare significato di quanto immaginiamo.
3) Abbiamo bisogno di agire in fretta.
Siamo limitati dal tempo e dalle informazioni, eppure non possiamo lasciare che questo ci paralizzi.
Senza la capacità di agire velocemente di fronte all’incertezza, saremmo sicuramente morti come specie molto tempo fa.
Con ogni nuova informazione che riceviamo, dobbiamo fare del nostro meglio per valutare la nostra capacità di influenzare la situazione e prendere una decisione velocemente.
Di conseguenza dobbiamo essere fiduciosi nella nostra capacità di avere un impatto e sentire che quello che facciamo è importante.
E a questo riguardo agiscono vari bias come l’Overconfidence effect o l’illusione of control, secondo il quale sovrastimiamo la nostra capacità di essere in controllo della situazione.
Nella foto che ti ho lasciato sopra puoi vedere questa rappresentazione molto più nel dettaglio.
Infine…
4) Dobbiamo decidere cosa ricordare.
Non possiamo ricordare tutto ma i ricordi ci permettono di dare senso alla nostra realtà e anche di sopravvivere.
Ricordare com’è avvenuto un evento drammatico ci permette di fare di tutto per evitare che accada nuovamente.
Ma non potendo ricordare ogni cosa dobbiamo in qualche modo scremare le informazioni che decidiamo si memorizzare.
E quindi preferiamo, ad esempio, ricordare le generalizzazioni rispetto alle specifiche perché occupano meno spazio nella nostra testa.
Questo è il motivo per cui abbiamo la tendenza molto spiccata a creare stereotipi e generalizzazioni di ogni tipo (Implicit associations, Implicit stereotypes, Stereotypical bias).

E quindi, nel corso di tutta la nostra vita, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, agiscono una serie di pregiudizi mentali che distorcono la nostra visione della realtà illudendoci al contempo di avere una visione chiara delle cose.
Certo da una parte si tratta di errori.
È evidente.
I bias ci portano a trarre continuamente conclusioni logicamente errate o a ricordare cose in modo diverse da come sono avvenute.
Ma siamo sicuri che potremmo sopravvivere senza?
Questa è una domanda che lascio aperta anche perché, a differenza della matematica, non le si può dare una risposta che abbia un grado di certezza assoluto.
Ad ogni modo è un quesito filosofico piuttosto interessante.
Il punto a cui volevo arrivare però non è questo…
I bias infatti influenzano il nostro comportamento e il nostro ragionamento. E quello che gli esperti di marketing sono diabolicamente riusciti a fare è stato creare delle strategie che facessero leva su queste debolezze umane.
In un altro articolo ho scritto che il marketing, ridotto all’osso, è un buon messaggio diretto alla giusta audience attraverso il giusto media.
Ora c’è un’altra definizione che vorrei darti: il marketing è persuasione.
Fare marketing a livello più profondo consiste nel persuadere le altre persone che quello che fai o che offri gli serva.
Eticamente questa definizione potrebbe sembrarti un po’ più subdola della precedente e non riesco a darti tutti i torti. Il discorso etico legato alla persuasione è molto complesso e non riusciremo ad affrontarlo per la sua interezza in queste righe.
(In questo mio video se ti interessa provo ad affrontare un po’ il problema).
Quello che penso però è che la persuasione in realtà sia una componente fortemente radicata nell’essere umano.
Noi tutti proviamo continuamente a persuadere le altre persone. Vogliamo persuaderle di essere persone buone, intelligenti, che tengono agli altri.
Vogliamo persuadere una ragazza o un ragazzo di essere la persona giusta per lui/lei. Oppure vogliamo persuadere il nostro potenziale datore di lavoro ad assumerci perché siamo la miglior scelta che potrebbe fare.
È normale.
In quanto esseri umani siamo fondamentalmente soli.
Nessuno può accedere alla miriade di pensieri che passa continuamente per la nostra testa.
E quindi, per tutta la nostra vita, proviamo a scremare l’infinità di questi pensieri e a trasmetterli agli altri in modo da offrire l’immagine migliore possibile di noi stessi.
Quello che gli altri vedono di noi è solo una maschera, una statua che per tutto il corso della nostra vita proviamo a scalpellare e a definire nel modo migliore possibile.
Ma la verità è che siamo tutti tremendamente soli.
Ma non sono qua per deprimerti (quello lo farò in un altro articolo :).
Il punto è che la persuasione fondamentalmente è l’arma che abbiamo sviluppato per trasmettere noi stessi agli altri.
Per permetterci di costruire rapporti e relazioni significative.
E una società fondata sul capitalismo e sul consumismo non potrebbe sopravvivere senza sfruttare le armi persuasive a nostra disposizione.
Non è una soluzione al dilemma etico da cui siamo partiti ma direi che è un buon punto di partenza. E quindi il marketing, in quanto arma persuasiva, non può che far leva sui bias cognitivi.
Non posso ovviamente trattarli tutti in queste pagine perché mi servirebbe una collana di volumi per poterlo fare.
Ad ogni modo vorrei elencartene alcuni dei più usati dal marketing.
Poi comunque continuerò a trattarli in altri articoli.
Bias 1: La reciprocità
La reciprocità è a mio parere una delle leve più forti che smuove il cervello umano.
Sostanzialmente quando qualcuno fa qualcosa per noi cerchiamo di ripagare quella persona allo stesso modo (e questo vale sia in positivo che in negativo).
Per dimostrare questo principio alcuni ricercatori hanno fatto un simpatico esperimento.
Durante il periodo natalizio hanno cominciato ad inviare decine e decine di lettere con auguri di natale a perfetti sconosciuti.
Poi cos’è successo?
È accaduto che dozzine di queste persone hanno risposto agli auguri.
Hanno risposto nonostante non avessero idea di chi fosse il mittente.
E il motivo è semplice: se ci viene dato qualcosa poi ci sentiamo in debito.
Sentiamo di dover ripagare (e in quest’ottica, forse un po’ cinica lo ammetto, un regalo non sempre è qualcosa di piacevole che fai a qualcuno).
Prova a pensarci…
Se qualcuno ti invita a cena senti di dover portare qualcosa per sdebitarti.
Se qualcuno ci regala una bottiglia di vino dal nulla sentiamo di dover ripagare il favore in qualche modo.
Qualche anno fa ricordo che mi trovavo a Firenze per lavoro e una sera andai a mangiare la fiorentina in un ristorante che trovai vicino a casa mia.
Finita la cena il proprietario mi portò una piccola bottiglietta d’olio dicendomi che era olio prodotto da loro e che era un’omaggio della casa.
Prima che men andassi, senza risultare invadente, mi chiese di lasciare una recensione al ristorante.
Ovviamente mi sentii in dovere di farlo.
Dovevo ricambiare al regalo che mi era stato fatto.
Infatti avevo mangiato e avevo pagato la cena e in quel senso eravamo alla pari.
Quel regalo però ha smosso gli equilibri.
Improvvisamente non eravamo più pari. Mi avevano dato qualcosa che non rientrava nei patti. E in qualche modo dovevo pareggiare i conti.
Dietro quella bottiglia di olio si nascondeva una delle tecniche più usate nel marketing, quella del freebie. Il freebie sostanzialmente è un contenuto, un prodotto o un servizio che diamo gratuitamente alla nostra nostra audience.
Quindi ad esempio molto spesso vediamo che ci viene chiesto di iscriverci alla newsletter di qualcuno in cambio di una guida gratuita.
Quello è un esempio di reciprocità indotta da un freebie.
Ma la stesso principio possiamo usarlo per ottenere recensioni (come nel caso del ristorante) o per far sì che qualcuno compri da noi offendo un campione o una prova gratuita.
Questa è la forza della reciprocità.
Non sottovalutarla perché si tratta di uno dei principi più forti con cui si portano le persone ad agire.
Bias 2: Self generation affect effect
Il self generation affect effect è la versione cognitiva dell’effetto Labor-love effect (chiamato anche effetto IKEA).
Per l’effetto Ikea tendiamo ad apprezzare di più le cose progettate e realizzate da noi. Quindi quando montiamo il nostro nuovo armadio IKEA inconsciamente gli attribuiamo più valore di un armadio pre-costruito.

Allo stesso modo, per il self generation affect effect, apprezziamo di più le idee generate dalla nostre mente (piuttosto di quelle che leggiamo o ascoltiamo da qualcun altro).
Se un’idea è frutto (o crediamo sia il frutto) del nostro pensiero le attribuiamo più valore di un’idea che viene da qualcun altro.
Anche se abbiamo dedicato pochissimo sforzo o riflessione dietro quell’idea la valutiamo comunque di più.
Non solo, oltre a valutarla di più ce la ricordiamo anche meglio. Questo è anche uno dei motivi (non l’unico) per cui fatichiamo a cambiare idea o per cui spesso pecchiamo di presunzione.
Questo principio, ovviamente, trova molte applicazione anche all’interno del marketing.
Se vuoi che un tuo cliente ricordi e apprezzi di più il tuo prodotto, una strategia efficace potrebbe essere quella di fargli generare parte delle informazioni da solo. Ecco alcuni suggerimenti per applicare il principio:
• Fai riflettere le persone sul tuo prodotto o servizio
• Poni domande nei tuoi contenuti.
• Chiedi feedback e fai domande su di te o sui tuoi prodotti alla tua audience
• Quando possibile potresti consentire alle persone di personalizzare il tuo prodotto (come fa Nike by you o Lego ideas). Questa strategia non serve solo per soddisfare le preferenze individuali delle persone, ma anche per fare si investano mentalmente e nel prodotto e che quindi, di conseguenza, lo apprezzeranno di più (potresti persino consentire ai tuoi clienti di creare e progettare i propri prodotti).
La personalizzazione è un arma molto potente. Altri esempi di applicazione di questo principio si trovano anche in videogiochi come ad esempio FIFA, che permette la personalizzazione completa dei tasti da parte del giocatore.
Bene questa era una spiegazione di cosa sono esattamente i bias cognitivi, del perché sono importanti e qualche esempio di applicazione pratica.
Se l’argomento ti interessa ti invito a seguire anche il mio canale YouTube perché ho fatto parecchi video a riguardo.
Comunque il punto conclusivo è questo: la nostra mente è imperfetta.
Commettiamo continuamente innumerevoli errori di cui non ci rendiamo nemmeno conto. E ovviamente questo ha trovato innumerevoli applicazioni nell’ecosistema del marketing.
Ma la domanda conclusiva è: potremmo sopravvivere senza questi bug?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Articolo molto interessante soprattutto perchè ogni volta mi ritrovo a comportarmi (ma da tempo ormai ne sono consapevole) in un modo che sento non essere del tutto mio…non consocevo ultimo bias usato (quello self genertion affect effect…geniale..grazie Andrea per il testo e le informazioni.
Grazie a te Alessandra 🙂 Spero ti torni utile in futuro